La pandemia ha inciso, con un’estensione non ancora definita, su ogni aspetto della vita dell’individuo, della società e delle aziende. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, agli impatti sulle catene del valore globale, con un loro possibile ridimensionamento in termini di estensione geografica, ai nuovi rapporti di forza nello scenario geopolitico, agli impatti sul modo di lavorare e di vivere, alla possibile ridefinizione del rapporto pubblico / privato e così via. Le analisi di scenario sono molteplici e riflettono le differenti sensibilità e prospettive dei soggetti coinvolti a vario titolo in questi esercizi, ma una caratteristica sembra accomunare tutte le analisi: la radicalità del cambiamento.
Nel nuovo contesto che si va delineando, l’incertezza coinvolge in primo luogo le aziende, e fra i vari aspetti che le riguardano, la sostenibilità occupa certamente un ruolo centrale. La domanda principale da porsi riguarda gli effetti che la crisi potrà avere rispetto al fenomeno generale della sostenibilità ed in particolare a quello della sostenibilità aziendale. La crisi genererà un rallentamento o un’accelerazione rispetto alla diffusione della cultura e della pratica della sostenibilità aziendale?
Nelle considerazioni che seguono si proverà a rispondere a questa domanda, con riferimento al contesto italiano. Si svolgeranno alcune considerazioni preliminari per inquadrare storicamente il concetto di sostenibilità aziendale, per poi analizzare lo stato dell’arte della sostenibilità aziendale pre-COVID19, e infine proporre alcune ipotesi di sviluppo.
Sostenibilità e sostenibilità d’i mpresa
La sostenibilità implica un concetto di armonia di medio-lungo periodo dello sviluppo economico, sociale e ambientale, che è stato introdotto dalle organizzazioni internazionali a partire dal 1987 quando le Nazioni Unite affidarono alla Commissione Mondiale sull’ Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED) la redazione di un rapporto sulla situazione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo, conosciuto come Rapporto Brundtland (Our Common Future).
Gli sviluppi più recenti sono rappresentati dall’Agenda2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, che ingloba 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs), in un programma di azione che prevede 169 target da raggiungere entro il 2030. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono pienamente condivisi a livello europeo ed inclusi in tutte le priorità della Commissione Europea.
Il termine Responsabilità Sociale D’impresa (CSR – Corporate Social Responsibility) , venne definito dal vertice europeo riunitosi a Lisbona nel 2000 all’interno del “Libro Verde” redatto dalla Commissione Europea come: “ L’integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con altre parti.”
I primi dibattiti sulla CSR però hanno origini molto più lontane, risalgono infatti alla fine del 19° secolo e l’inizio del 20° secolo quando l’opinione pubblica americana aveva portato alla creazione di legislazioni antimonopolistiche, spingendo alcuni industriali (Rockefeller, Carnegie) a sperimentare per la prima volta forme di impegno sociale d’impresa. Da allora, le teorie CSR si sono sviluppate all’interno degli studi sulle teorie d’impresa, alternando momenti in cui hanno occupato un ruolo centrale ad altri in cui sono stati messi in secondo piano.3 Tra gli sviluppi più recenti si trova quello di Porter e Kramer (cfr. Strategy and Society, 2006), grazie al quale prende corpo la teoria del valore condiviso, secondo cui vi è una chiara interdipendenza tra l”impresa e la società: le decisioni di business e le politiche sociali debbano seguire entrambe il principio di valore condiviso, ricercando un beneficio per entrambe le parti. La catena del valore sociale rappresenta ancora oggi un punto di riferimento fondamentale nell’ottica CSR.
La definizione di sostenibilità d’impresa è stata raggiunta in parte in modo autonomo, attraverso una riflessione interna alle teorie d’impresa ed agli studi di management, ma anche grazie alla spinta proveniente dalle Organizzazioni internazionali. Questo è un elemento da considerare e che ha riflessi concreti ancora presenti nella definizione delle politiche di CSR da parte delle aziende.
La situazione della aziende italiane pre-COVID19.
Il trend di diffusione della cultura di CRS presso le imprese italiane negli ultimi anni appare in aumento, sia in relazione al numero di aziende che si dichiarano impegnate in politiche di CSR, sia rispetto all’ammontare di investimenti dedicati ( cfr VIII rapporto Socialis).
La situazione appare più complessa, tuttavia, se si guarda alla effettiva integrazione della sostenibilità nelle strategie di business delle imprese.
Osservazioni interessanti emergono dal report Seize the Change E&Y (pubblicato a Gennaio 2020), che analizza la governance e le strategie di sostenibilità delle aziende italiane con riferimento al cambiamento climatico, agli approvvigionamenti sostenibili, all’economia circolare ed alla finanza sostenibile.
Condotto su un campione di 194 aziende quotate, la ricerca mostra che solo il 32% di esse elabora un Piano di Sostenibilità di medio-lungo periodo e solo il 17% rappresenta una descrizione estesa delle iniziative con obiettivi quantitativi correlati ai Sustainable Development Goals.
Linee di sviluppo
La consapevolezza che oggi la sostenibilità dovrebbe orientare tutte le decisioni e le strategie aziendali creando dei business model orientati al valore condiviso appare elevata. Le imprese sembrano però più attente alle sostenibilità negli aspetti comunicazionali che sostanziali. La sostenibilità non è integrata al 100% nei processi decisionali del management.
Ci sono 2 driver che possono aumentare il livello di integrazione della sostenibilità nel business: il sistema degli incentivi e il risk management.
Il sistema degli incentivi orientato al CSR, alle performance ESG (Environmental, Social, Governance), può rappresentare il fulcro del cambiamento delle culture aziendali ed orientare verso strategie e modelli di business condivisi, che abbiano la sostenibilità come elemento di fondo. Da sempre il sistema degli incentivi è considerato un potente driver di cambiamento. Rispetto alla CSR esistono però 3 grandi aree di attenzione che possono spiegare il motivo per cui finora le esperienze aziendali non hanno generato grandi risultati in termini di incremento delle performance di sostenibilità delle aziende.
1 ) Difficoltà nella misurazione degli obiettivi di CSR. Spesso vengono identificati obiettivi qualitativi non misurabili con certezza. Più in particolare :
Economia circolare: lo studio Size the change non ha rilevato una forte spinta da parte delle aziende nella definizione di una strategia di economia circolare. In particolare, solo il 10% delle aziende ha messo a punto una strategia dedicata. L’economia circolare è vista e vissuta come una modalità per migliorare i processi aziendali. Infatti, il 46% delle iniziative rilevate è focalizzato solo su processi e/o prodotti; le iniziative rivolte all’esterno, ossia al settore industriale di appartenenza o ad altri settori industriali sono solo il 20% di quelle rilevate.
Finanza sostenibile: il 70% delle società del settore bancario e assicurativo analizzate ha avviato iniziative di finanza sostenibile. Il 61% di quelle mappate consiste in investimenti indiretti in iniziative o fondi e titoli ad alto impatto socio-ambientale, seguite, al 36%, da finanziamenti diretti. Dalla ricerca emerge che il 50% delle società nel settore Banking & Insurance considera le tematiche ESG nelle proprie scelte di investimento, in particolare quelle legate al cambiamento climatico e ai diritti umani. Riguardo alle modalità d’integrazione dei criteri ESG nelle strategie di Finanza Sostenibile, è ancora solo dell’8% la percentuale delle società che svolge uno screening ESG sul portafoglio in maniera sistematica, con una percentuale di portafoglio analizzato ancora molto bassa.
> L’applicazione di questi obiettivi all’interno del complesso sistema di obiettivi aziendali è troppo generica, gli obiettivi CSR si rifanno a modelli macro come quello delle Nazioni Unite e non c’è un processo di adattamento di questi obiettivi al contesto specifico di business delle singole aziende.
> Le analisi di performance relative fanno spesso riferimento a benchmarking con database di istituzioni che pubblicano dei ranking di sostenibilità che per la loro composizione sono riferiti alle aziende nella loro interezza e non a specifici processi e non sono utili per orientare specifici processi decisionali.
Per rendere più efficaci i sistemi di misurabilità si rende necessario dare maggiore rilevanza alla capacità delle misure identificate di avere un impatto concreto sulle azioni manageriali (materialità della misura), ovvero di modificare il comportamento decisionale dei manager. Spesso i framework esterni di misurazione danno troppa enfasi agli aspetti formali della misura, al rigore metodologico, piuttosto che alla capacità della misura di orientare il comportamento manageriale.5
- Come impiegare le prospettive CSR negli incentivi economici. Il dibattito aziendale sembra essere ancora legato alla dialettica tra bonus annuale e piani di stock option, mentre la questione principale è rappresentata dalla consistenza e dalla permanenza nel tempo dell’incentivo prescelto . In altri termini, considerando che le evidenze empiriche mostrano un notevole tempo di apprendimento, il fattore chiave risulta la continuità dell’incentivo prescelto.
- Rendita manageriale. Secondo uno studio di Willis Tower Watson, uscito a marzo 2020, dedicato all’impiego delle misure ESG negli obiettivi di performance manageriale delle imprese dell’S&P500, emerge un quadro, in cui il 51% di queste imprese ha adottato incentivi ESG e che il tasso di raggiungimento degli incentivi per questi obiettivi è particolarmente elevato ( circa il 70%, con punte anche al 100% per gli obiettivi di Governance). Sembrerebbe dunque che sia più semplice ottenere dei bonus quando l’incentivo assegnato è basato su CSR. In questo contesto si possono annidare comportamenti di rendita manageriale, in cui il manager chiede che gli vengano assegnati degli obiettivi di CSR non per voler sviluppare le performance di sostenibilità aziendale ma perché è più facile con questi obiettivi ottenere il bonus. Questo meccanismo può di fatto incrinare il meccanismo di pay for performance che dovrebbe sempre rappresentare la base del sistema degli incentivi.
Il risk management orientato alla CSR. Parallelamente all’integrazione della sostenibilità nei business model aziendali, appare evidente la necessità dell’analogo processo di integrazione della sostenibilità nei processi di risk management. L’evoluzione del framework normativo, che rappresenta sempre un driver di sviluppo della disciplina del risk management, ha portato all’integrazione in un unico sistema delle prescrizioni per la gestione organica dei rischi d’impresa.6 Il quadro normativo unitamente alle evidenze aziendali mostrano la chiara esigenza di definire un nuovo ERM che può chiaramente essere codificato come un SERM – Sustainable Enterprise Risk Management.
Conclusioni
La crisi è intervenuta in un momento in cui, in Italia, in media la CSR come cultura e come prassi aziendale, era ancora in una fase di transizione. In tale contesto, da un lato le imprese e le istituzioni potrebbero cercare delle scorciatoie per far fronte al calo di redditività e ridurre gli investimenti CSR, e, in generale, sul versante della gestione di rischi. D’altra parte la stessa crisi ha messo in luce l’importanza di alcuni elementi micro e macro, sostanziali e culturali, che possono giocare a favore del consolidamento della CSR:
> L’importanza di sistemi di risk management strutturati, secondo un modello più esteso possibile.
> La digitalizzazione come fattore strategico di successo. Qui il nesso con la CSR, è forse meno evidente a livello micro, ma a livello macro ed aggregato, a mio avviso, appare chiaro il legame. Maggiore digitalizzazione comporta un miglioramento delle condizioni complessive dei lavoratori (escludendo le paure irrazionali di una perdita di lavoro e forse di potere negoziale), pensiamo al ruolo positivo dello smart working sul work-life balance, sulla tutela della donna e della maternità, etc., ha impatti positivi sull’ambiente e sulla vivibilità complessiva delle società.
> Il senso di comunità che si è creato durante la crisi, sia a livello sociale che delle singole aziende che, se opportunamente rielaborato, può rappresentare un substrato culturale decisamente favorevole alle tematiche CSR.
> La rinnovata sensibilità dei policy makers nei confronti delle tematiche CSR. Come emerge dall’analisi dello sviluppo delle teorie e delle prassi CSR, un potente fattore di stimolo nella direzione CSR è stato rappresentato dalle indicazioni proveniente da organizzazioni pubbliche o con finalità pubblicistiche. Oltre all’importanza della dimensione culturale del fenomeno, appare possibile ipotizzare nuove forme di incentivo economico a favore di politiche CSR.
Per poter rilanciare il tema della CSR nel contesto attuale vi sono alcuni temi di fondo che rientrano nelle leve di azione delle singole aziende e che possono essere sintetizzati come segue:
> Dalla giustapposizione all’integrazione. La CSR deve diventare una dimensione pervasiva della strategia e dei processi aziendali e non rimanere una dimensione separata dal business model che in quanto tale rappresenta un mero costo e non piuttosto un investimento.
> Consistenza e materialità dei sistemi di incentivi orientati al CSR. Sono richiesti framework declinati sul contesto specifico aziendale e di business, e non su elaborazioni e richiami a contesti generici definiti da organismi lontani dalle realtà concrete di business. Le misurazioni devono essere specifiche e devono influenzare il sistema di management accounting, ovvero il sistema che fornisce la base per determinare le decisioni aziendali.
> Sustainable Enterprise Risk Management, che superi il precedente ERM e che si sviluppi in parallelo con il processo di integrazione della CSR nel business model aziendale, o meglio insieme al sistema di incentivi orientati al CSR, faccia da driver del cambiamento aziendale nella direzione CSR. Il framework normativo attuale non solo lo cons ente ma lo indica in modo chiaro.